By Monastero di Santa Grata
Posted in Bicentenario
L’ECO DI BERGAMO
VENERDÌ 23 MARZO 2018
Il gregoriano: il canto diventa preghiera
L’intervista a Giacomo Baroffio. Lo studioso domani alle 16, presso le benedettine di Santa Grata, terrà una conferenza con ascolti guidati
Riguardo al canto gregoriano, si riscontra oggi un curioso paradosso: a un tendenziale abbandono nella liturgia si accompagna un crescente successo discografico, mentre i teorici del New Age raccomandano queste musiche medievali – in alternativa al suono delle campane del Tibet – per conseguire il «risveglio interiore». Secondo Giacomo Baroffio, già docente di Storia della musica medievale e di Storia delle liturgie all’Università di Pavia (sede di Cremona), «il canto gregoriano è certamente legato a una sensibilità del passato ma trascende, come linguaggio liturgico, i condizionamenti storico-culturali. Occorre però che lo si ascolti nell’obbedienza della fede, con l’orecchio teso a percepire la Parola di Dio, senza aspirare a chissà quale godimento estetico». Domani alle 16, presso le benedettine di Santa Grata (a Bergamo Alta, in via Arena), Baroffio e il maestro Anastasia Eun Ju Kim terranno una conferenza – con ascolti guidati – sul tema «Domine, labia mea aperies. Il canto e la preghiera nei monasteri benedettini»; l’incontro rientra in un vasto programma di eventi pensato per celebrare il bicentenario del «ripristino» del monastero di Santa Grata in Columnellis, avvenuto nel 1817, dopo la soppressione in età napoleonica.
Professor Baroffio, tra le sue opere figura un monumentale «Iter Liturgicum Italicum»: un inventario di oltre 33mila testi medievali di musica sacra. «Sì, perché è certamente vero che dal VII al XX secolo il canto gregoriano ha costituito la base della vita liturgica in tutti i monasteri benedettini d’Europa; però nel corso del medioevo si sono sviluppate anche altre forme di musica sacra, come quella polifonica o quella strumentale. Limitandoci all’Italia, in aggiunta al repertorio del canto gregoriano ne andrebbero ricordati almeno altri tre: uno in area beneventana, uno romano e infine quello della liturgia ambrosiana, a Milano. Lo stesso gregoriano, poi, non costituiva un blocco indifferenziato. Si dice spesso, schematizzando, che questo canto consisterebbe in una monodia – in una singola linea melodica – applicata a un testo in latino. Tuttavia sappiamo che in alcune località, perlomeno nelle liturgie più solenni, questo canto non era propriamente monodico: alla prima linea melodica si accompagnava almeno una seconda, forse anche una terza voce. Quanto al latino, va comunque sottolineata la permanenza nei testi di parole di origine ebraica, come “amen” e “alleluja”: termini chiave, che esprimono rispettivamente un assenso di fede alla parola rivelata e il rendimento di lode a Dio».
Quale fondamento ha la tradizione per cui a inventare questo canto, dandogli il nome, sarebbe stato Papa Gregorio Magno? «Dal punto di vista storico non abbiamo notizie certe sugli inizi del gregoriano, ma solo delle ipotesi. Secondo le due più accreditate, sarebbe nato a Roma nella seconda metà del VII secolo, oppure nelle Gallie alcuni decenni dopo. Bisogna aggiungere che il canto liturgico, anche nella forma del gregoriano, non era in uso solo nei monasteri: lo si praticava pure nelle scholae cantorum istituite presso le chiese maggiori, a partire dalle basiliche romane. Nella cristianità medievale, non c’era liturgia che non fosse cantata».
Al di là della trascuratezza presente, come si spiega la straordinaria vitalità nel corso dei secoli del gregoriano, a livello liturgico? «La spiegazione è semplice: prima che una forma d’arte, il canto gregoriano è preghiera. I suoi testi sono ricavati in larga misura dalla Bibbia; il cantore gregoriano non è un tenore o un soprano d’opera, ma un “profeta”, in senso etimologico: una persona che si fa tramite della voce di Dio e, reciprocamente, eleva a Dio la lode, le suppliche e il ringraziamento a nome dell’intero universo».
Per cantare il gregoriano si richiede appunto la fede, oltre che l’addestramento della voce? «Se non ci si vuole limitare a eseguire delle melodie medievali di autore ignoto, occorre familiarizzarsi con la Bibbia, soprattutto con il libro dei Salmi. Bisogna “ruminare” le Scritture, lasciando che esse illuminino l’esistenza. Non si tratta di un esercizio agevole: la Parola va accolta, in un ascolto orante capace di non lasciarsi distrarre da tante altre parole che sulle prime potrebbero sembrare più seducenti».