By Monastero di Santa Grata
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L’ECO DI BERGAMO
VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2018
Tra deserto, comunità e missione i Benedettini sono pronti a nuove sfide
Bicentenario. Le monache di Santa Grata ricordano il «ripristino» della loro sede di Città Alta, nel 1817. Domani interviene lo storico Mariano Dell’Omo: «I monaci hanno resistito alle soppressioni napoleoniche»
Nel dicembre del 1817, per concessione dell’imperatore d’Austria Francesco I le benedettine di Santa Grata poterono «rimettere in uso» il loro monastero in Città Alta, che precedentemente era stato vittima delle soppressioni napoleoniche. Per ricordare i duecento anni di tale evento è stato organizzato un ciclo di incontri – a cura di Mariarosa Cortesi, ordinario di Filologia medioevale e umanistica all’Università di Pavia – con il titolo generale «Santa Grata in Columnellis nel bicentenario del suo “ripristino”, 1817-2017». Il prossimo appuntamento sarà domani alle 17, presso il monastero di via Arena: il benedettino Mariano Dell’Omo terrà un conferenza sui «Modelli di santità nello specchio del medioevo monastico. Un itinerario dal passato al futuro». Dom Dell’Omo dirige l’archivio storico di Montecassino (dove si conserva tra l’altro il primo documento ufficiale della lingua italiana, dell’anno 960); docente a Roma, al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e alla Gregoriana, è anche autore di un’ampia «Storia del monachesimo occidentale dal Medioevo all’età contemporanea» (Jaca Book, pp. 640, 65 euro).
Qual è il tratto particolare del monachesimo benedettino, rispetto – per esempio – a quello orientale? Nella Regola di Benedetto l’alternanza di preghiera e lavoro è solo funzionale al mantenimento della comunità monastica o ha un significato teologico? «Il monachesimo cristiano è nato in Oriente. In particolare, agli inizi si articolava in “esperienze di deserto” segnate dalla forte impronta personale e carismatica di uomini di Dio come Antonio, Ammonio, Macario, Evagro. Questo modello di vita giunse poi in Occidente, in particolare in Italia, attraverso la mediazione di testimoni e scrittori d’eccezione come Girolamo, Rufino, Cassiano. Lo stesso san Benedetto, prima di fondare nel 529 il cenobio – ovvero la comunità monastica – di Montecassino, da giovane era vissuto come eremita a Subiaco. Tuttavia, se il monachesimo antico si era caratterizzato per la ricerca del “deserto”, quello dell’Alto medioevo è appunto profondamente segnato dalla Regola cenobitica di san Benedetto (che pure non esclude il passaggio all’eremo): tende così ad assumere una dimensione sociale e culturale, sposando l’equilibrio spiccatamente benedettino tra preghiera e lavoro. Il modello è Gesù stesso, che nei Vangeli mostra di amare la preghiera come intimo dialogo con il Padre, e al tempo stesso si preoccupa delle necessità dei poveri, dei malati, dei piccoli».
Che cosa hanno comportato le «soppressioni» dell’età napoleonica per i benedettini? «Durante i primi anni dell’Impero napoleonico, specialmente tra il 1806 e il 1810, in Italia si registra un vero e proprio “sterminio” di Ordini e case religiose, in particolare di monasteri. Certo, verso la fine dell’Antico Regime l’intera vita religiosa in Italia e in Europa era segnata da problemi che ormai l’avevano condotta sulla via di un progressivo declino. Tuttavia sarà proprio un religioso divenuto Papa, il monaco benedettino Pio VII, che tra il 1800 e il 1823 darà nuovo slancio al carisma della vita consacrata e non solo di quella monastica: basti pensare che fu lui, dopo la soppressione del 1773, a ricostituire nel 1814 la Compagnia di Gesù».
Oggi la Confederazione benedettina sembra coniugare il principio dell’unità con la molteplicità di espressioni della vita monastica. Ci sono anche benedettini anglicani che mantengono buoni rapporti con i confratelli cattolici… «Sì, lei dice bene: fu Leone XIII che il 12 luglio 1893 istituì la Confederazione benedettina, cioè l’unione delle varie Congregazioni monastiche di regola benedettina, presieduta dall’abate primate, che ne salvaguarda al tempo stesso l’unità e l’autonomia. In tutti questi anni fino a oggi non sono mancate in seno alla Confederazione iniziative di scambio tra esperienze monastiche diverse, di dialogo interreligioso, di quella fraternità ecumenica che il Concilio Vaticano II ha tanto promosso e incoraggiato».
Quali saranno le prospettive del monachesimo benedettino nel prossimo futuro? Saprà adattarsi alle trasformazioni in corso, compreso lo spostamento del baricentro del cristianesimo nel Sud del mondo? «Il monachesimo benedettino nell’Alto medioevo ha svolto un ruolo di evangelizzazione decisivo per la storia del cristianesimo in Inghilterra, in Germania, in Olanda, nei Paesi Baltici, oltre che in Italia e in Francia. Anche nel nostro tempo la Regola di Benedetto mostra tutta la sua capacità di rispondere alle sfide di una nuova evangelizzazione. In particolare, la Regola sa ben coniugare monachesimo e missione. Lo dimostra una Congregazione monastica missionaria come quella di St. Ottilien: nata in Germania, ha fondato molte case fuori dall’Europa, in Africa, in Corea, in Cina, in America Latina, nelle Filippine. La vitalità del carisma monastico si misura sulla sua capacità di portare il Vangelo a chi non lo conosce, mediante il linguaggio universale dell’ora et labora, affinché la ricerca di Dio, così cara ai monaci, si traduca in un’opera di liberazione integrale, materiale e spirituale, per ciascun uomo».